
Una storia di Mediazione familiare e il cambiamento di ruolo.
Una storia di Mediazione familiare e il cambiamento di ruolo.
Loredana e Simone sono sposati da 5 anni , ma già dal primo anno sono in crisi coniugale; caratterizza la loro storia solo da litigi continuativi, condivisioni e sessualità zero.
Decidono di rivolgersi presso lo studio per una psicoterapia di coppia.
Decidiamo di fare una psicoterapia di coppia disgiunta, ovvero, separatamente, direzionata alla loro autonomia o al miglioramento della loro relazione.
Questa scelta si impone per la presenza, in entrambe le loro storie, di problematiche ataviche con le famiglie di origine.
L’attuale relazione di coppia sembra essere la replica delle relazioni dei loro genitori.
Durante il trattamento, tutto diventa complicato da fattori di co-dipendenza e da un profondo senso di accudimento l’ un dell’ altro, identici meccanismi presenti nelle famiglie d’ origine.
Simone è disperato perché la ama, ma lei ammette il contrario. Decidono dopo lunghe traversie di separarsi.
L’ idea di separazione diventa straziante per la coppia perché rappresenta per essa il sinonimo di vicendevole abbandono, reso insostenibile dagli atavici abbandoni perpetuati dai loro genitori nella loro vita.
A questo punto termina la psicoterapia di coppia disgiunta e si pone la necessità di intraprendere la mediazione familiare.
Per attenuare i conflitti della coppia separanda, si propone di lavorare su una distinzione e sullo scollamento della loro relazione dal ruolo di coniuge , risolvendo la relazione su una dimensione meramente affettiva .
La separazione è stata resa possibile, conservando i termini dell’ accudimento, per la presenza del profondo affetto rimasto e recuperando il profondo senso civile della relazione, eludendo il timore del reciproco abbandono.
Questa strategia ha permesso di realizzare una maggiore serenità di coppia ed una flessibilità per gli accordi legali.
giorgio burdi
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Vivere a Colori
Vivere a colori, sul bianco e nero dell’ ansia.
Forse non l’ho mai fatto da quando sono nata, o forse sì ma non me lo ricordo….forse quando ero bambina, non lo so….di certo non “da grande”.
Il perché? Probabilmente non mi è stato insegnato o tramandato, ma solo oggi inizio a percepirlo a pieno. L’ansia e la depressione, mie “amiche” ormai da molti anni, mi hanno privato della ricca gamma di colori che la vita offre.
Troppe paure, troppi pensieri negativi, l’attesa come se debba arrivare una catastrofe sempre dietro l’angolo, una malattia, una morte di un caro se non la mia….quel panico che arriva e non so il perché, mi toglie il fiato, manda la testa in palla, s’impossessa di me e decide lui cosa fare….cioè niente.
Non posso guidare allontanandomi molto da casa da sola, non posso prendere un ascensore, non posso viaggiare in treno o in aereo tranquilla e serena nonostante l’obiettivo sia una vacanza, non posso farlo per tragitti lunghi che mi porterebbero in posti da me tanto desiderati.
Ma anche tra le mura domestiche qualcosa non funziona, ho paura di stare sola di notte, mi mette ansia un temporale, se ho tempo libero non riesco a rilassarmi, a dedicarmi senza fretta o sensi di colpa a ciò che mi piace, che mi fa bene.
C’è sempre qualcosa o qualcuno che viene prima di me, c’è sempre il giudizio dell’altro che chissà cosa pensa, chissà cosa dice, chissà se ci rimane male. Ed io dove sono? A che posto? Boh….forse non l’ho mai considerato, mai prima d’ora, perché solo dopo tanta sofferenza, tante lacrime, tante occasioni perdute, tanti silenzi, tanti vuoti, è arrivato il momento della scalata verso il primo posto.
Ora ho capito che si può fare anche se non ci credevo, ho capito che esistono un’infinità di colori che sono i piaceri, le emozioni, le sensazioni, positive e negative ma comunque vive.
Ho capito che non deve esistere il se condizionale, perché mi intasa soltanto la testa con mille paranoie, offuscandomi la visuale su quello che ho, su quello che sto vivendo e privandomi di me stessa.
Ho capito che posso percorrere 60 km guidando da sola senza che mi succeda nulla, ho capito che non è necessario essere sempre preparata e perfezionista e anzi, allentando la presa, le cose vengono meglio, posso anche permettermi di sbagliare e di dire di no.
Ho capito anche che posso e devo mostrare a mia figlia il bello della vita, i colori….senza i mille sensi di colpa né gli insostenibili sensi del dovere che mi hanno soffocata subito dopo esser diventata mamma.
Certo il traguardo è ancora lontano, vivere serena e senza ansie mi risulta ancora difficile…. ma una cosa è certa, voglio vivere a colori, voglio capire ed aprire la gabbia, voglio far esplodere me stessa e non restare una fotocopia in bianco e nero di me stessa.
Maria
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ORFANA, DI UN GENITORE VIVENTE
Essere figli di se stessi
ORFANA, DI UN GENITORE VIVENTE.
Essere figli di se stessi
Qui di seguito la storia di Carla nel suo viaggio tortuoso di inseguire invano, per sedici anni, l’affetto di un padre assente come l’isola che non c’è. Carla, tenace, lottando, ritrova comunque la sua serenità :
Sono orfana di un genitore vivente e solo oggi riesco ad afferrare questa consapevolezza, dopo anni trascorsi a rincorrere, a sperare, ad aspettare di essere figlia di mio padre.
Mio padre, l’uomo che mi ha dato la vita, se l’è ripresa, per anni ad inseguirlo, per l’ennesima volta, di nuovo si è rifiutato di essere tale, negandomi il suo aiuto ed insieme ad esso il suo amore.
“Va a chiederlo a tua madre l’aiuto”, “tornatene dalla tua famiglia materna”, così mi ha detto.Solo che questa volta ci ho creduto.
Questa volta non ho voluto dar voce a quella bambina in lacrime che dentro di me diceva: “non lo pensa veramente”, “prima o poi si renderà conto e si farà perdonare, tornando ad essere il mio papà”.
Ho l’impressione di vivere un lutto, vive, ma per me oggi muore, ma non è mio padre che piango, quanto piuttosto la scomparsa di quella bambina, degli anni ad inseguirlo invano e delle sue speranze verso quell’uomo che non ho più voglia di chiamare papà.
E’ stato un percorso lento ed estenuante quello che mi ha condotto quest’oggi alla rottura definitiva. Dopo sedici anni, solo ora riesco infatti a sentirmi libera di distaccarmi da questo dolore, che nasce dalla consapevolezza di essere orfana di un genitore vivente.
E se da questo dolore riesco a trarre forza e determinazione, più che apatia e disperazione, è soprattutto grazie al percorso di psicoterapia intrapreso nell’ultimo anno, che mi ha consentito di maturare la profonda e precisa convinzione che è necessario essere innanzitutto genitori di se stessi.
Volersi bene è la chiave per essere liberi, liberi dagli affetti imbalsamati, inesistenti e malsani, dal giudizio degli altri, dai condizionamenti esterni.
Così, seppure addolorata per aver perso quella piccola me, desiderosa dell’affetto incondizionato di suo padre, oggi posso dire di essere una donna più serena, perché non serve elemosinare mai ed attendere l’ amore, ma darselo.
Libera dal fantasma di mio padre, ora non sono più orfana di un genitore fantasma.Sono prima di tutto figlia di una giovane forte donna, determinata ed entusiasta. Sono FIGLIA DI ME STESSA. Carla
giorgio burdi
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IL FILO DI ARIANNA. Il problema, risolve
Perchè scrivi solo cose tristi . Perchè quando sono felice esco.
IL FILO DI ARIANNA
Il peggio, serve per migliorare.
Perchè scrivi solo cose tristi ? Perchè quando sono felice esco.
Da quando ho 14 anni tengo un “diario”. Ora ne ho 33. Ha quasi 20 anni. Sono quadernoni normali, della “monocromo”, di colori diversi l’uno dall’altro: erano altri tempi, iniziati prima del digitale, dei cellulari, della mail, delle chat, di facebook e di ogni social; c’ero io, i miei pomeriggi alla scriyvania tra i compiti del liceo,la musica che da sempre mi accompagna, seppur sempre diversa ma comunque musica, una volta erano le cassette, poi i cd, il walkman…e io che scrivevo, scrivevo, scrivevo pagine e pagine di sensazioni, racconti, paure, angosce, oppure felicità..ma erano più le angosce, perchè secondo me è vera la risposta di Luigi Tenco alla domanda rivoltagli : ” Perchè scrivi solo cose tristi?” “Perchè quando sono felice esco ” .
Negli anni le cose sono cambiate, e ho cominciato ad andare in terapia di gruppo per capire perchè pur non mancandomi niente, mi sentissi così male, avvilita, non vivere appieno la vita mi frustrava, ed ero più triste ancora, proprio perchè ero triste…un bel casino; poi pian piano sono stata meglio, ho preso in mano la mia vita senza paura, senza fare chissà che, ma facendo tutto da sola: ora ho una professione, ho gli amici, non voglio nemmeno dirlo, ho l’amore, è ancora un amore giovane – nel senso nato da poco e questo amore l’ho prima studiato tantissimo in teoria, sulla teoria sono preparatissima !
vedremo poi nella pratica… ed è quel tipo di amore che quando Giorgio ci raccontava in seduta “quel mio paziente si stupisce di come abbia fatto a trovare una persona così bella, dice che non se la merita” tra me e me pensavo “seeee…figurati se esiste una persona così, non la incontrerò mai, qualcuno di cui essere addirittura stupito, pensare che non me la merito, vedrai che mi dovrei accontentare, piuttosto meglio NIENTE, si sta così bene da soli, finalmente ci so stare da sola e ne sono felice, non mi accontenterò mai, quindi andrà bene stare sola ed essere indipendente”.
Ho una famiglia in cui per fortuna ci sono ancora tutti, ho una mamma un papà e due sorelle, ho due bellissime nipoti. Ci vogliamo tutti bene, ma è molto difficile la nostra convivenza, la nostra inter-relazione, c’è molta sofferenza, dietro, molti sensi di colpa, sacrifici per quanto riguarda la felicità del singolo e la sua indipendenza in nome non si sa bene di cosa…forse solo paura e diffidenza, sfiducia.
Qualcuno deve uscire dal circolo, credo che ho cominciato io, adesso essere considerata quella strana, prendere atto che se mio padre non è riuscito a cambiare la sua idea di me è soltanto un problema suo, non più mio, io posso solo fare ciò che è meglio per me e mi rende felice. qui ed ora.
Se mia mamma ha deciso di identificarsi con la sua malattia e usarla come moneta di scambio nel suo mondo io non posso farci niente, se non cercare di liberarmi dai miei fantasmi e godere del bello che ancora posso averne indietro e cercare di darne. In fondo sono fortunata ad avere ancora tutti con me, a non avere mai avuto tragedie ” tangibili “.
Si tratta di fare delle scelte, che sono indispensabili, e se si sbaglia pazienza, si riprova, lo sbaglio serve per aggiustare il tiro e migliorare. Se non scegli tu lo fanno gli altri, Tutte le scelte che ho fatto mi hanno portato qui, ora.
Ho sofferto, sono caduta, mi sono arenata, ho perso le speranze, mi sono disperata, piano mi sono rialzata, ho trovato la forza e la volontà di chiedere aiuto, per egoismo, per stare meglio, sono viva e merito di stare bene. Ho deciso di stare meglio con gli altri, per egoismo, e dovremmo farlo tutti, un mondo fatto di gente felice non sarebbe un mondo migliore dove far stare il nostro ego? se provassimo a rendere felici gli altri forse non “romperebbero le palle” a noi, no? Arrivo al punto: Dovremmo fare pace con il nostro passato. Sia quando riusciamo ad essere padroni della nostra mente, e in parte anche quando non lo siamo, dovremmo essere fiduciosi che ogni situazione o persona che ci si presenta davanti e che affrontiamo,è lì per noi, anche solo per poco, o per un tempo più lungo, perchè noi possiamo trarne il giusto insegnamento. semmai, la parte più difficile sarà avere la consapevolezza e il coraggio e la lucidità di lasciare andare al momento opportuno quella persona o la situazione e passare oltre: il dolore passerà, per fare spazio alla lezione.
Ma ora basta teoria astratta, Vi riporto solo un paio di esempi “terra terra”, esempi sui quali ho elaborato le elementari riflessioni di cui sopra.
1) se nel settebre 2011 non avessi cominciato una storia tossica con un narcisista “d.o.c.” che mi ha ridotta -no, sbagliato!- riformulo AL QUALE HO PERMESSO di ridurmi a stare malissimo e farmi delle domande sul perchè stessi così, e a dubitare che forse ci fosse altro sotto a questa goccia che mi aveva fatto traboccare non avrei intrapreso la psicoterapia, non avrei cercato su google uno specialista che potesse aiutarmi ad essere felice.
2) non sapere bene l’inglese e avere paura di buttarmi e parlarlo era sempre stato un mio cruccio: proprio un anno fa a settembre ho frequentato un ragazzo per un paio di mesi e lui è innamorato delle lingue e dei viaggi e stava per partire per lavorare in Australia: grande sofferenza il fatto che dovesse andar via, mi chiese anche di partire con lui e per un secondissimo una parte di me ci ha pensato, ma di fatto lui è partito, ed io ho conosciuto un’insegnante di inglese meravigliosa con la quale ho preparato l’esame per il diploma Cambridge, conseguito a giugno.
Anche io amo viaggiare, e dopo un periodo di down per vari problemi, economici, lavorativi e di solitudine, lui se ne era andato da poco ed io, single incallita, avevo in parte scoperto la vita a due, ho cominciato a mettere i soldini da parte per fare un bel viaggio lontano lontano con la primavera, destinazione Filippine: con l’inglese appena rispolverato, sarei stata più sicura di me tanto da andare da sola insieme ad “Avventure Nel Mondo”: eravamo un gruppo di 17 persone, maschi e femmine, tutta bella gente; “Voglio proprio godermi la natura e la solitudine che questo viaggio mi permetterà di moderare insieme alla conoscenza di persone capitate random nella mia vita” mi sono detta. C’era anche un uomo tra i tanti del gruppo, che giorno dopo giorno ha provato a farsi notare ai miei occhi che volevano solo essere foderati di prosciutto…ed è lui adesso l’amore che mi sono riportata qui.
Un ultimo consiglio, da chi ha l’umile speranza di poter aiutare non con la presunzione di sapere ma con la propria esperienza: MUOVIAMOCI. non avete idea di quante, quante cose mi sono capitate in questi mesi che mi hanno permesso di dare una svolta alla mia vita solo per il fatto che mi sia “mossa”: non mi dilungo nei particolari, ma solo su cosa poi sia effettivamente cambiato quando ho deciso di uscire, o alzare il telefono, o partire, invece di restare a casa o peggio a letto!
-Nuovi lavori-nuovi e meravigliosi amici-nuovi entusiasmanti hobbies-Posti spettacolari-Amori appassionati e felici!
Rossana
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CATTIVI MAESTRI
Parole intrise di emozioni rappresentano la supremazia affettiva.
CATTIVI MAESTRI
Parole intrise di emozioni rappresentano la supremazia affettiva.
A livello mediatico percepiamo ripetuti messaggi rindondanti subliminali, espliciti, che lasciano tracce indelebili su certi stili di vita che condizionano giovani gemereazioni e coscienze in formazione.
I processi di formazione vengono dettati prevalentemente da portate di parole, giri di tormentoni, offerti su piatti di emozioni che permettono un impatto penetrativo indelebile nel nostro inconscio.
Parole e musiche di Blasco, tipo ” voglio una vita spericolata” o ” Dammi una mano señorita…” o lo stile dipendente del pubblico personaggio, diventato più pregnanti di un complesso educativo genitoriale, per l’ impatto di quel potere emotivo che a volte la famiglia non cura attraverso attenzioni e determinate carezze amorevoli.
È la parola insieme all’ emozione che genera la formazione, perché lascia la sua supremazia affettiva.
Se la famiglia sapesse solo questo, non ci sarebbe un Blasco che tenga nel formare generazioni di dipendenti.
Passano per buoni o per regolari, messaggi di separatezza della persona, fatta a brandelli, tra sesso pensieri piaceri fugaci e percezioni del se corporeo scisso, aspetti che sono le cause delle dipendenze.
Ieri alcuni ragazzi mi imploravano di non toccare Blasco o j-ax che proclama “oh maria” , paradossalmente gli stessi che mi supplicano di liberarli da costellazioni di sostanze.
Desideriamo fomentare la cultura dell’ unità della persona dove il corpo parla della mente e viceversa a salvaguardia della salute dell’ una e dell’ altro, in banchetti di cordialità emotive orientati al piacere naturale di se e al benessere e alla serenità della persona.
giorgio burdi
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LA FAMIGLIA APPARENTE
Essere genitore di se stessi
La famiglia apparente
Essere il genitore di se stessi
L’ambiente familiare esercita, inevitabilmente, un’influenza sul nostro modo di essere, sul nostro sviluppo psicologico, lasciando una traccia probabilmente indelebile su quello che sarà il nostro percorso di vita, la nostra personale maniera di affrontare il mondo, gli altri, noi stessi.
La famiglia è il primo contesto sociale nel quale ci troviamo, il primo filtro fra noi ed il mondo esterno.
Senza che nemmeno ce ne rendiamo conto, almeno quando siamo troppo giovani per farlo, il modo di ragionare, di comportarsi dei nostri familiari, gli schemi mentali propri del loro modo di essere, di vivere, tracciano il percorso mentale che segnerà il nostro sviluppo individuale ed, inevitabilmente forse, il nostro modo di rapportarci con l’altro.
Una dipendenza emotiva dalla quale, forse, non ci libereremo mai completamente. Così almeno è stato, è per me.
Il clima che si respirava dentro casa, una freddezza di fondo, la mancanza di vero, reale contatto emotivo fra i componenti della famiglia, pur formalmente unita, un’estrema attenzione alla forma, anche dentro le mura domestiche, come se non ci si sentisse mai davvero liberi da barriere, da ombre, da un giudizio esterno, liberi di esprimere se stessi.
Un innato atteggiamento di sospetto, di diffidenza, di chiusura verso l’’altro’, verso il mondo esterno, verso tutto ciò che si trova fuori dalle mura domestiche.
Da qui un guscio, una corazza che si forma attorno al nostro essere, senza che nemmeno ce ne rendiamo conto, che ci impedisce di arrivare a noi stessi, di conoscerci davvero, e ci rende così difficoltoso il contatto con le altre persone, un contatto vero, aperto, autentico, senza riserve, emotivo e fisico.
Tutto questo non deve però assolutamente diventare un alibi, una scusante per non riuscire, o almeno mettercela tutta, a rompere il guscio, ad imparare a camminare sulle nostre gambe, rompendo le catene che ci legano alla parte più deteriore del nostro passato.
Stefano
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